1 ricetta e 1 cosa bella n°9 (quella con la poesia di mio nonno)
Ciaone
La scorsa settimana ho raccontato di quando avevo 4 anni e ho fatto finta di essere stata rapita.
Come mio nonno sia sopravvissuto a quello spavento è solo testimonianza della fibra di cui era fatto.
Il nonno Mario era ingegnere navale, e un pioniere dentro: come suo padre Peppino che, per far fortuna e sposare la bella Elvira, era andato all'estero, da dove spediva quotidiani locali alla fidanzata di buona famiglia, segnando a matita un puntino sotto vocali e consonanti per comporre quei segreti messaggi d'amore che solo lei sapeva decifrare.
Anche il nonno Mario era inventivo e creativo: scolpiva e dipingeva (toccando vertici di altissima arte), scriveva racconti e poesie.
Scrisse anche un libro per me, "I racconti di Canterino", una raccolta delle favole improvvisate per la mia buona notte, il cui protagonista era il galletto del contadino della famosa campagna dove si svolse il finto rapimento.
Rilegato in poche copie, una per ogni nipote e bisnipote, è uno di quei pochi oggetti da portare via dalla casa in fiamme.
Il nonno Mario non si lasciava andare alle emozioni davanti a nessuno.
Era nato nel 1917, venuto su nel Ventennio, con un padre antifascista che i soldi poi li aveva fatti, e a cui poi furono tolti, tutti, proprio perchè antifascista. Devo ribadire che gli uomini del suo tempo dovevano essere tutti d'un pezzo e non avere un canale lacrimale.
Quindi è dalle crepe delle sue opere che esce la luce del sentimentalismo che sempre negò alla superficie.
Come nei ritratti dei figli che giocano, visti dall'alto dello sguardo paterno: le loro testoline bionde piegate su un libro o un trenino.
O come nella poesia qui sotto, che lascio pura, senza commenti (ma ti avverto: prepara il fazzoletto).
Faccio solo un'annotazione qui: la scrisse che ero ancora la sola nipote. E nella vita reale, non mi chiamò mai Sasha se non in rarissime occasioni: due o tre volte quando ero grande e credo si sentisse in dovere di obbedire all'anagrafe; e in questa poesia, forse per non esagerare con l'intimità.
Perché per lui (e per mia nonna), che non approvavano il nome difficile da pronunciare che aveva scelto mia madre...
fui sempre e solo "Sassolino".
Una ricetta
Prosegue la serie dedicata a quello che devo sempre avere pronto in casa: questa settimana, sono gli ingredienti per fare... *rullo di tamburi*
Una cosa bella
Le mani
Canali sono, per comunicare,
le mani.
Ricordo, nella calda tasca del cappotto
di mio padre,
la mia, raggelata, dalla sua callosa
traeva sicurezza
d’onnipotente difesa.
Il tocco della mia ragazza era via dell’anima poi,
e di comunione quello della donna.
Ora tengo la manina di Sasha,
pugnetto minuscolo impacciato
e il rimorso allontano
per ciò che potrei
non aver dato abbastanza
ai miei figli.